DOMENICA DI PASQUA

Testimone è chi “ha visto” il Signore

Introduzione

Sono commoventi le parole appassionate con cui Giovanni inizia la sua lettera: “Ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita… noi lo annunziamo anche a voi” (1 Gv 1,1-3). Un’esperienza invidiabile, ma irrepetibile la sua. Tuttavia, per divenire “testimoni” di Cristo, non è indispensabile aver camminato con Gesù di Nazaret lungo le strade della Palestina.
Paolo – che pure non ha conosciuto personalmente Gesù – è costituito testimone delle cose che ha visto (At 26,16) e riceve dal Signore quest’incombenza: “Come hai testimoniato per me a Gerusalemme, così è necessario che tu mi renda testimonianza anche a Roma” (At 23,11).
Per essere testimone, basta aver visto il Signore realmente vivo, al di là della morte.
Testimoniare non equivale a dare buon esempio. Questo è certamente utile, ma la testimonianza è un’altra cosa. La può dare solo chi è passato dalla morte alla vita, chi può confermare che la sua esistenza è cambiata e ha acquistato un senso da quando è stata illuminata dalla luce della Pasqua, chi ha fatto l’esperienza che la fede in Cristo dà senso alle gioie e ai dolori e illumina i momenti lieti e quelli tristi.
Proviamo a interrogarci: la risurrezione di Cristo è un punto di riferimento costante in tutti i progetti che facciamo, quando comperiamo, vendiamo, dialoghiamo, dividiamo un’eredità, quando scegliamo di avere un altro figlio… o riteniamo che le realtà di questo mondo non abbiano nulla a che vedere con la Pasqua?
Chi ha visto il Signore non fa più nulla senza di lui.

Per interiorizzare il messaggio, ripeteremo:
“Se il nostro cuore si aprirà alla comprensione delle Scritture, vedremo il Signore”.

 

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II DOMENICA DI PASQUA

I segni delle realtà invisibili

Introduzione

Secondo la Bibbia, l’uomo è fatto di terra, è legato alla terra, alle piante, agli animali e ciò è cosa buona. Non è imprigionato in un corpo, come riteneva la filosofia greca, ma gioisce di essere un corpo capace di autocoscienza, libertà e amore. Composto di materia, sente un intimo bisogno di entrare in contatto, in modo concreto e tangibile, anche con le realtà spirituali e, a questo suo bisogno, la liturgia risponde con i sacramenti, costituiti da segni e simboli che possono, questi sì, essere visti e toccati.
Chiedere all’uomo una fede disincarnata è esigere l’impossibile; ma è un errore anche pretendere, come Tommaso, di verificare ciò che non può essere percepito dai sensi.
La condizione in cui Gesù è entrato con la sua risurrezione, benché più vera della stessa realtà su cui oggi si posano i nostri occhi e le nostre mani, sfugge a qualunque verifica. Come il bimbo può contemplare il volto della madre solo dopo essere nato, l’uomo vedrà il Risorto solo quando avrà lasciato questo mondo. Già ora, però, gli sono offerti segni concreti delle realtà invisibili in cui crede e spera.
Se sulla terra è comparsa una società completamente nuova, se è sorta una comunità in cui i grandi divengono piccoli, il ricco si fa povero, il nemico è amato come un fratello e chi comanda si considera servo, allora si è di fronte a segni inequivocabili: Gesù è vivo e il suo Spirito opera nel mondo.

Per interiorizzare il messaggio, ripeteremo:
“Dalla tua chiesa, Signore, il mondo si attende i segni che sei risorto”

 

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III DOMENICA DI PASQUA

Dio ci chiederà di mostrargli le mani

Introduzione

Contempliamo gli uccelli del cielo e i gigli del campo, ma la dolce emozione che proviamo si vela presto di tristezza se ci sovviene del destino che ci accomuna a queste splendide creature. Anche l’uomo “come un fiore spunta e avvizzisce” (Gb 14,2) e i suoi giorni sono come l’erba (Sl 103,15). Il chicco di grano muore per rinascere e l’albero “se viene tagliato, ancora ributta e i suoi germogli non cessano di crescere” (Gb 14,7). Quale sarà l’epilogo del drammatico duello fra morte e vita in cui anche l’uomo è coinvolto?
Non c’è dubbio: l’ultima parola spetterà alla morte. Fra miliardi di anni la vita si spegnerà nell’universo.
Allora, avrà avuto un senso il nostro passaggio su questa terra o sarà stata una meteora di cui non rimarrà traccia? Ci attende la beffa del nulla totale? La sensazione che abbiamo è di essere prigionieri, incatenati in un mondo destinato alla morte dal quale non ci è concesso fuggire.
Questo è il grande enigma irrisolto al quale gli uomini hanno sempre, disperatamente, cercato di dare una risposta.
La luce della Pasqua ha dissolto per sempre le tenebre e le ombre della morte: questo mondo non è una tomba, ma il grembo in cui crescere e prepararsi per la vita senza limiti, senza confini. Il creato sfocerà in nuovi cieli e nuova terra (2 Pt 3,13).

Per interiorizzare il messaggio, ripeteremo:
“Dio osserverà le nostre mani e i nostri piedi per vedervi le stigmate dell’amore”

 

 

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IV DOMENICA DI PASQUA

L’epifania di Dio nel pastore che dona la vita

Introduzione

Non desta meraviglia che, anche in tempi di crisi religiosa, la maggioranza della gente continui a credere in Dio, ma, quando si procede a una verifica dell’identità di questo Dio, spesso si nota che è ben diverso da colui che si è rivelato in Gesù. È un Dio che si adegua alla giustizia dell’uomo, premia e punisce in base ai meriti, si compiace del culto, largisce benedizioni ai suoi devoti, proibisce l’adulterio, ma approva l’accumulo dei beni e la loro libera gestione, anzi, diviene, a volte, un socio in affari. È un Dio che permette di uccidere per legittima difesa ed è, soprattutto, grande, infinito, onnipotente, capace di farsi rispettare.
Questo Dio, così ragionevole, ha trovato accoglienza anche in alcuni catechismi cattolici e non è difficile da accettare.
Un giorno però, in Gesù, il vero Dio si è presentato agli uomini completamente diverso: frequentava i peccatori e stava con gli esclusi, si è lasciato sputare in faccia senza reagire, ha amato chi lo inchiodava su una croce, non era né onnipotente né infinito. Di fronte a questo Dio debole, incapace di difendersi, la fede di tutti è vacillata e Pietro, quando ha giurato di non conoscerlo (Mc 14,71), ha parlato – credo – anche in nome della grande maggioranza dei cristiani.
Credere in un Dio così è difficile: significa riporre la propria gloria nel farsi piccoli per amore.

Per interiorizzare il messaggio, ripeteremo:
“Dovrò passare per valli oscure, ma non temo. Mi fido del pastore che mi guida”

 

 

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